Si chiama convenzionalmente rebranding ed è un fenomeno molto diffuso, anche in Italia. Ecco le automobili che hanno subito questa pratica e a cosa si sono realmente ispirate.
Sapete cosa fa una casa produttrice quando non ha molta voglia di progettare da zero un veicolo ed ha un accordo favorevole con un marchio per produrre una vettura pressoché identica con un nome diverso? Semplice, si lancia in un classico re-branding. Questa pratica nata in tempi nemmeno troppo moderni consiste essenzialmente nel cambiare nome ad una vettura apponendo sul cofano il badge di un altro marchio.
A differenza del plagio che è tutto un altro paio di maniche, il re-branding è una pratica legale e molto usata da tutti i marchi automobilistici. Esempi recenti includono la Opel Vectra, divenuta Vauxhall Vectra nel Regno Unito e la nuova Mitsubishi Colt, essenzialmente un re-branding con un muso diverso della famosa Renault Clio. Anche in Italia abbiamo visto tanti esempi di questo tipo, comunque.
Un marchio che ha fatto largo uso di re-branding è Lancia che negli ultimi anni, ha proposto tante vetture non proprio fantasiose. L’esempio più famoso è la Lancia Flavia HF – in foto – basata sulla scialba Chrysler 200, un vero flop commerciale nel nostro paese. Ma che dire della meno celebre Lancia Musa, praticamente una Fiat Idea con una griglia frontale diversa? E sono solo due esempi su molti che potremmo fare.
Succede l’inverso
Parlando sempre di esempi recenti come dimenticare la Fiat Freemont? Il possente crossover familiare della casa italiana molto adatto alle famiglie è in realtà una Dodge Journey con un altro marchio, vettura la cui licenza è stata acquisita da Fiat grazie ai vantaggiosi accordi con la FCA. Ma passiamo a qualche esempio storico, dato che il fenomeno come abbiamo accennato è molto antico.
L’automobile con meno successo mai “vittima” di re-branding è certamente la Nissan Cherry che tra il 1983 ed il 1987 venne prodotta in Italia con il marchio del Biscione ed il nome di Alfa Romeo Arna. La vettura ha una pessima reputazione principalmente perché non era all’altezza degli standard qualitativi del marchio. Andò meglio alla Mini Cooper, prodotta su licenza da un marchio italiano come Innocenti Mini negli anni sessanta.
Per finire, in un paio di casi è successo il contrario, con vetture italiane vendute con altri marchi. Ricordiamo tra i casi più assurdi la Saab 600, una Lancia Delta con un altro marchio che non ebbe affatto successo in Scandinavia, la FNM JK2000, essenzialmente una berlina Alfa Romeo 2300 venduta in Brasile e il Ram 700, una Fiat Strada del 2021 con il logo dell’ariete impresso sul suo cofano.