Costruita per fare “il grande passo” nel circuito più importante del mondo, questa monoposto ha finito per terrorizzare a morte – e non si fa per dire – una generazione di piloti. Ecco cosa la rendeva così pericolosa.
Come afferma nel corso di una scena cruciale del film Rush il famoso pilota Niki Lauda: “Quando entro in quella monoposto, accetto un rischio del 20% di morire. Non di più”. Se già fare il pilota negli anni settanta non era un mestiere sicuro, immaginate i rischi che corsero i ragazzi di un team ormai dimenticato quasi del tutto guidando questa vera e propria bara su ruote, conosciuta come la Formula Uno più pericolosa che si sia mai vista.
Tempi molto duri
Gli anni settanta sono considerati da molti appassionati di Formula Uno il periodo d’oro di questa competizione, un po’ per i tanti leggendari piloti che hanno corso in questo decennio come Niki Lauda, Clay Regazzoni, Gilles Villeneuve e tanti altri, un po’ per nostalgia e un po’ per il design incredibile delle monoposto che passavano dai “siluri” senza fronzoli degli anni sessanta alle moderne monoposto come le intendiamo ancora oggi.
Proprio in questo periodo segnato da grandi cambiamenti e purtroppo anche da tanti lutti nasce la scuderia giapponese Maki: dati alla mano, c’è davvero poco da dire su questo team, uno dei primissimi se non il primo gruppo giapponese ad avvicinarsi alla massima serie, che è stato semplicemente pessimo sotto tutti gli aspetti. Ma la casa Maki ha un record non ufficiale davvero poco invidiabile: quello per la monoposto più pericolosa mai vista in una competizione ufficiale.
Il tempo vola
Entrato in Formula Uno nel 1974, il Team Maki Engineering aveva appena un anno di vita quando si prese sulle spalle la responsabilità di “rimpiazzare” la squadra corse Honda che si era ritirata dalla massima serie del motorsport qualche anno prima. Nonostante l’intraprendenza e i buoni propositi, il team costituito perlopiù da ragazzi con scarsa esperienza diretta in un paddock di Formula Uno sarebbe andato incontro ad una batosta tremenda.
Che la monoposto Maki fosse pericolosa apparve chiaro anche a Howden Ganley, pilota veterano assunto dalla squadra per guidare la monoposto. Durante le prove effettuate sul tracciato di Goodwood, piloti ed ingegneri si resero conto di gravissimi problemi ormai irrisolvibili: l’auto pesava circa 150 chilogrammi più del previsto, la ripresa era pessima e la stabilità compromessa dallo sgraziato coperchio del motore. Dulcis in fundo, l’auto era pericolosamente difficile da controllare in rettilineo.
Un disastro annunciato
I risultati dell’auto durante la prima stagione furono disastrosi: al Gran Premio di Svezia, Ganley si rifiutò di scendere in pista con l’auto, giudicata troppo pericolosa. Il successivo Gran Premio di Gran Bretagna è altresì una Caporetto con il pilota che non riesce nemmeno a rientrare nel tempo utile per qualificarsi alla gara. Ma è solo l’inizio della drammatica stagione della Maki.
Durante le qualifiche per il Gran Premio di Germania infatti, Ganley esce di strada dopo aver spinto al limite la pessima Maki che si distrugge contro le barriere uscendo da una curva dopo un guasto meccanico alla sospensione: l’incidente segna la fine della carriera di pilota del veterano che si rompe tutte le dita dei piedi, rischiando di rimanere zoppo per tutta la vita. Senza Ganley, la Maki continua il campionato con la monoposto di riserva ma senza qualificarsi ad una singola gara.
Nei due anni successivi, il team – tra l’altro con il prestigioso sponsor Citizen sulla vettura – tenta inutilmente di risolvere i numerosi problemi di affidabilità ma le cose non migliorano: “Con i loro criteri di progettazione renderebbero anche un serbatoio per l’acqua piovana una trappola mortale”, disse il dirigente della FOPA Bernie Ecclestone riguardo la triste esperienza della Maki che avrebbe chiuso i battenti due anni dopo.
I progettisti della casa giapponese fecero del loro meglio ma un po’ per inesperienza, un po’ per mancanza di denaro, finirono per mettere in pista un’auto pericolosa ed inguidabile che solo per puro miracolo non uccise nessuno.